Pagine

mercoledì 20 aprile 2011

Eroina

Ballo sulla sedia mentre con dita tremanti cerco di fare il numero di Carlo.
Ho bisogno di prendere qualcosa, qualsiasi cosa. Sono in piena crisi.
Comincio a sudare, anche se in casa ci sono 16 gradi. Mi hanno di nuovo staccato il gas.
Sono al verde ma ho rimediato qualcosa per la roba. Sono tesa come un bastone e sto male.
Il telefono squilla.
"Carlo?" cerco di non sembrare troppo disperata.
Gli spacciatori se ti sentono in astinenza alzano il prezzo.
"No..."
"Chi cazzo sei? Dov'è Carlo?" ora sono disperata.
"Tesoro non ti agitare, non sono Carlo, ma se sai dove trovarmi l'officina è sempre aperta"
Merda, e adesso? Mi prendo la testa tra le mani. E se è uno sbirro?
Fanculo sto troppo male.
"Va bene, un'ora e sono lì"
Cerco di scacciare il pensiero che potrebbe essere uno sbirro.
Cerco di scacciare il pensiero che potrebbe darmi della roba di merda.
Qualsiasi pensiero è scacciato dal mio incessante tremare. Ho la nausea  ma riesco a raggiungere il bagno prima di vomitarmi addosso.
Mi sciacquo la bocca e il viso nel lavandino, alzo la faccia e mi vedo riflessa. Non mi riconosco. Vedo solo occhi.
Spiritati occhi blu in un volto tutto spigoli.
Sono così magra. Così pallida... così bianca...
Come ho fatto a ridurmi così? Lo giuro, questa è l'ultima volta.
Ancora una dose per tirarmi su e poi smetto.
Ma adesso ho bisogno di farmi, sto troppo male. Mi vesto in fretta, raccatto la borsa da terra e esco.
Fuori fa freddo, sento il vento che mi sferza le cosce e mi si intrufola sotto la gonna ma io continuo a sudare.
Un po' barcollo, ho le gambe rigide. Sembro ubriaca, no... sembro una tossica, no... sono una tossica.
Mi concentro sul camminare, sul riuscire a stare in piedi, perché se inizio a pensare a quello che sono diventata... no, non devo pensare.
Presto starò bene. Si, presto starò bene.
Arrivo a casa di Carlo. Una palazzina dall'aria anonima. Lui smercia lì.
Mi apre la porta un tipo piccoletto.
"Cosa vuoi?" riconosco la voce. E' lo stesso del telefono.
"Hai detto che l'officina è aperta..."
"Ok entra"
L'appartamento di Carlo è assurdo. Così pulito. Ordinato.
"Hai i soldi?"
"Si... ho bisogno di eroina"
Mi passa in mano una pallina mentre gli porgo una mazzetta arrotolata.
Mi sembra già di sentirmi meglio...
"Allora la mia coca?" C'è qualcun altro nella stanza. Un ragazzo. Mi sorprendo a fissarlo. E' così carino, così normale.
Stringo nel pugno il mio tesoro, faccio un cenno al piccoletto e esco.
Mi incammino verso casa, mi sento più leggera. Ma sono impaziente.
"Hey..
"Hey tu.."
Mi giro e mi ritrovo davanti il ragazzo carino.
"Che cosa vuoi?"
Mi sorride.
"Hai dimenticato la borsa."
"Ah... grazie"
Mi sorride. Di nuovo. Ha dei bei denti.
"Piacere Luca." mi porge la mano. Lo guardo come un'ebete. Non muovo un muscolo. E' così bello. Così sano.
"Senti grazie per la borsa ma... che cosa vuoi?"
"Oddio come stai sulla difensiva. Nulla, non voglio nulla. Ho la casa qui vicino. E... ho comprato un po' di coca... ti va di venire da me?"
Ma che sta dicendo questo? Ma che cazzo vuole?
"Dai su non mordo..." e ancora quel sorriso. Un sorriso da bambino.
Mi ritrovo a seguirlo e neanche so come, sono a casa sua.
"I miei coinquilini non ci sono." cerca di fare conversazione.
"Hai detto che hai un po' di coca..." ho bisogno di farmi. Per adesso va bene anche la coca.
Forse capisce. Tiriamo in silenzio. Mi rilasso sul divano. Finalmente mi sembra di smettere di tremare.
Il ragazzo mi si avvicina. Ho capito cosa vuole. Non so se sentirmi lusingata o usata ma non c'è tempo per la mente perché lui mi bacia. E' un bacio tenero che non mi aspetto.
Mi accarezza le spalle e continua a baciarmi. Sento le sue mani sul mio corpo. Mi scopro eccitata.
Rispondo alle sue carezze. E' così delicato che mi scende una lacrima... questo ragazzo-bambino dall'aria pulita e sana mi desidera.
Me. Uno scricciolo di ragazza tutt'occhi.
Sento la coca che sale e il mio desiderio si infiamma.
Lo stringo con foga. Ho bisogno del suo corpo. Ho bisogno del suo calore.
E siamo nudi. Mi solleva in braccio come una bimba e mi porta in camera da letto.
Ricominciamo a toccarci. Ho le sue dita tra le gambe, che frugano, spingono e mi fanno gemere come un'ossessa.
"Ti voglio dentro di me."
Non mi fa aspettare, in un attimo sono distesa sul letto e il suo membro preme. Mi prede con foga, con forza. E sembra non finire mai...
Vengo. Vengo. Non connetto più. Mi sento viva. Dopo anni mi sento viva di nuovo.
Il ragazzo si placa. Mi si sdraia a fianco. Mi abbraccia, la sua mano pigramente mi accarezza la schiena e il suo respiro mi solletica l'orecchio.
"Non so neanche come ti chiami, ma hai degli occhi bellissimi. Sei bellissima."
Pochi minuti e dorme.

Luca dorme ancora.
Io sono seduta sulle piastrelle fredde del suo bagno.
Per un attimo oggi mi sono sentita di nuovo normale.
Per un attimo oggi ho creduto di potercela fare, di poter tornare la ragazza di un tempo.
Ma è stato solo un attimo. E non è abbastanza.
L'ago mi penetra nella vena del braccio e riconosco la famigliare sensazione dell'eroina che mi entra in circolo.
Questa volta però c'è qualcosa di diverso, il sollievo non arriva.
Una morsa mi stringe il petto, è un dolore lancinante, dritto a cuore. Ricomincio a tremare violentemente. Non ho la forza di stare dritta. Mi accascio a terra.
Veloce arriva la consapevolezza che questa volta sarà davvero l'ultima.
Chiudo gli occhi e mi lascio scivolare nell'oblio, accompagnata dal ricordo di un sorriso di un ragazzo-bambino. 

martedì 12 aprile 2011

Affettività predatoria

-Prego si accomodi.-
-Dove?-
-Dove vuole.-
-Ci sono tre poltrone e un lettino qui.-
-E allora?-
-E' una specie di test?-
-No. Sono solo tre poltrone e un lettino. Signor M. la prego si sieda dove vuole. Non sia nervoso, si accomodi dove pensa di poter essere più a suo agio.-
-Va bene.-
-Dunque Signor M. mi spieghi perché è qui.-
-Non l'ha letta la mia cartella?-
-Certo che l'ho letta. Vorrei che me lo dicesse lei.-
-Sono affetto da un disturbo psichico.-
-E quale sarebbe?-
-Dottoressa, è lei la psichiatra.-
-Signor M., senta. Lei non viene qui per farmi un favore. Le mie sedute costano, e anche parecchio. Mi assecondi la prego.-
-Come vuole. Mi è stata diagnosticato un disturbo della personalità.-
-Quale?-
-Lo sa già.-
-Quale Sig. M.?-
-Disturbo narcisistico di personalità.-
-E si riconosce in questa diagnosi?-
-Si, in parte.-
-In cosa si riconosce?-
-Sono molto egoista. Amo stare al centro dell'attenzione. Ho un'affettività di tipo... com'è che si dice dottoressa?-
-Predatorio?-
-Ecco si, godo nel predare. Nel ricevere attenzioni, nel sentirmi amato, nel riuscire a scoparmi una donna, a farla innamorare di me, a trattarla come mi piace.-
-Questo la rende un “uomo” Sig. M., non un malato. Mi spieghi dove sta davvero il problema.-
-Non provo nulla.-
-Nulla riguardo a cosa?-
-Riguardo agli altri. Nulla. Sono sentimentalmente incapace. Mi piace fare sesso, godo nel farlo, ma non riesco ad affezionarmi davvero a nessuno. Sono pienamente soddisfatto solo quando riesco a plasmare una donna come più mi piace, a renderla dipendente da me, a renderla schiava del mio desiderio, a farla pensare come pensa la mia testa.. Ma è solo un attimo, una volta che ottengo il mio scopo tutto è noia.-
-Vuol dirmi che è incapace di provare empatia nei confronti delle sue partner?-
-Si.-
-Stento a crederci Sig. M.-
-E' così Dottoressa.-
-E da cosa pensa possa dipendere questa sua incapacità di provare... diciamo “amore” verso qualcuno che non sia se stesso? Da un episodio del suo passato?-
-Non giochi con me Signora. Ha letto la mia cartella. C'è scritto e non ne voglio parlare.-
-Va bene, ci lavoreremo. Perché ha cambiato psichiatra? La seguiva la Dottoressa G. prima, vero?-
-Si, ma non ha funzionato... me la sono scopata.-
-Ah-
-E già.-
-Vorrebbe scopare anche me?-
-Perché me lo chiede?-
-Perché da quando è entrato Sig. M. lei è in erezione, o sbaglio?-
-No, non sbaglia.-
-Bene, vogliamo scopare?-
-Cosa?-
-Le ho chiesto se vuole scopare?-
-Con lei?-
-No, con una delle mie poltrone... Sig. M. credevo avesse un disturbo di personalità, non un ritardo mentale. Ha capito la domanda?-
-Si si... certo. Mi sta dicendo davvero che vuole fare sesso con me?-

La dottoressa smette di rispondere, lo guarda e aggira la scrivania. Si mette tra le sue gambe, scalcia via le scarpe e inizia a sbottonarsi la giacca, la toglie e la lascia cadere per terra, ora le sue mani si muovono sulla camicetta e in un attimo anche questa finisce sul pavimento. Si sfila la gonna. Rimane in intimo nero, non porta le calze. E' bella, giovane. Magra, alta, ma rotonda nei punti giusti.
Ha un profumo raro, buonissimo, di quelli da ricchi.
Il Sig. M. l'attira verso di se e le infila la lingua nell'ombelico, le sue mani le strizzano le natiche, le scostano gli slip. E' bagnata. E' fradicia. Ora le risalgono il corpo, le tolgo il reggiseno. Lui si alza, le succhia vorace i capezzoli, le morde i seni. La sbatte violento sulla scrivania, si sbottona, si tira fuori il membro e in un attimo è dentro di lei. Lei è stretta, calda. Basterebbe poco per farlo venire, ma non è quello che vuole lei. No. Lei lo spinge via. Ride.
-Si spogli e si sdrai sul lettino, la prego Sig. M., mi assecondi.-
E lui lo fa. Si sdraia, nudo sul cuoio morbido. Lei lo scavalca, ora è nuda anche lei. Si mette a cavalcioni e prende a muoversi sul pelo ruvido del suo ventre, del suo petto. Gli strofina la vulva bagnata addosso aggrappandosi alle sue spalle. Poi si impala. Si impala lenta su quell'asta di carne dura. Si alza, solo la punta le rimane dentro ma si riabbassa subito. Di peso, con forza. E poi di nuovo, prima quasi si sfila e poi gli crolla addosso. Ad ogni colpo di quelle tenere carni, il Sig. M. sobbalza, gli manca il fiato, ogni colpo gli trapassa il cervello. Fuori di se l'afferra per le braccia l'avvicina alla bocca, la morde, la bacia fino a farla sanguinare. Lei continua a muoversi, ora più frenetica. Spinge i fianchi su e giù fino a esplodere in un orgasmo animale.
Ma non basta. La dottoressa vuole di più. Piena di lui si rialza, si sfrega ancora sul pelo del suo petto e poi gli si siede in faccia. Quasi lo soffoca tanto è l'impeto di quel gesto. Lui la bacia, la succhia, assapora il suo sperma mischiato ai liquidi di lei. Gli piace. Lecca, morde e succhia ancora e lei gode, gode fino a raggiungere di nuovo la cima. Gode urlando come non ha mai fatto perché lui è bravo, il più bravo.. le ha già infettato il sangue, le ha già scardinato la mente, le è già entrato nel cuore... lui è il migliore, lui è un Dio...

-Sig. M.? Sig. M. mi sente?
-Si... cosa?
-Le capita spesso di assentarsi così durante una conversazione?
-Solo quando sono davanti a una bella donna.-
-Senta Sig. M., le dico già che non attacca. Risparmi le sue arti amatorie per chi riesce ad apprezzarle e risponda alla domanda.
-Qual era la domanda?-
-Perché si è rivolto a me e non ha continuato il suo percorso con la Dottoressa G.?
-Ah... divergenze di opinione.
-Va bene. Per adesso direi che basta così. Ci vediamo la prossima settimana prenda appuntamento con la mia segretaria.-
-Ci conti Dottoressa, ci conti.-

martedì 5 aprile 2011

Presenze

E' sempre così, lei l'ha sentito arrivare. Sa che quella notte verrà per lei. 
I segnali sono chiari. Nonostante le infinite pillole che dovrebbero tenerla tranquilla, un brivido di paura le attraversa tutto il corpo. Inizia ad urlare, non servirà, ma non riesce a trattenersi. 
Urla urla e urla ancora. 
Nessuno si cura di lei.
E poi piange. Piange perché comincia a sentire il suo tocco. E' un tocco caldo che le accarezza una guancia. Le sue lacrime sembrano di ghiaccio in confronto a tutto questo calore.
Lo sente che percorre la sua gola, le sue spalle, che si insinua sotto il cotone del leggero tessuto e le sfiora i seni. La reazione del suo corpo la tradisce, i capezzoli si inturgidiscono, la figa si bagna. Lui continua la sua esplorazione, e lei cerca di non pensare. Di non pensare a quell'invasione tra le sue cosce, a quella durezza tra le sue pieghe. Continua a piangere, a singhiozzare sommessamente. Lei non vuole, è sbagliato. Anche se il suo corpo reclama quel tocco, la sua mente no. Domani si sentirà sporca, odierà questi ricordi, il tormento di questi momenti la perseguiterà sempre... ma il suo corpo è di parere contrario. Sente quel palo duro dentro e le piace. 
Che il Signore la perdoni ma le piace! Alza il bacino e va incontro a quelle spinte, le pareti del suo sesso si contraggono, il calore le brucia il colpo e il pensiero, qualsiasi pensiero, le libera la mente. L'orgasmo arriva come sempre potente e dilaniante. E lei per un attimo, un solo attimo è in pace. Ma poi tutto appare di nuovo chiaro, e la consapevolezza di aver ceduto di nuovo la trascina nella più nera disperazione. Fredde lacrime ricominciano a bagnarle le guance e lui è furioso. Lo è sempre. Lui vuole che lei si arrenda, che brami il suo tocco, che lo accolga come una sposa.. ma non può. Non può cedere, non deve cedere. Adesso lui la punirà, le farà male. Il calore del piacere si trasformerà nel calore del dolore e lei subirà come una martire. Ma questa è la sua punizione per aver ceduto... e allora piange, piange ancora.
La mattina dopo si sveglia come sempre nel suo letto. Nessun segno appare sul suo corpo. Solo un pallore malato che la rende bianca come il lenzuolo che l'avvolge fino al mento. In mano stringe ancora il rosario che aveva usato per pregare la sera prima.
L'infermiera di turno le sorride. “Come sta signora? Il mio collega mi ha detto che ha passato una notte molto agitata.”. Non risponde. Non risponde mai.
“Ecco le sue pillole”. Lei le ingoia senza pensarci, abituata ormai a quella routine mattutina.
“Le ricordo che alle nove c'è la terapia di gruppo con lo psichiatra. Signora? Signora mi ha sentito?”
Annuisce distratta, solo per farla contenta.
Sono ormai parecchi anni che non parla più. Ha smesso di parlare quando ha capito che nessuno credeva alle sue parole, a quello che raccontava. Si, perché aveva provato a dire la verità, ma la verità l'aveva portata qui, in questo ospedale “particolare”. Lei aveva cercato di spiegare le sue paure più grandi, il suo terrore, aveva cercato di raccontare quello che lui le faceva quando la notte strisciava nel suo letto. Nessuno le aveva creduto. Ma tanto nessuno poteva aiutarla. Era stata davvero ingenua.
Avrebbe dovuto capirlo da sola...
avrebbe dovuto capire da sola che se diventi la puttana di Satana puoi solo pregare. Piangere e pregare.

sabato 2 aprile 2011

Cercando il calore di un pallido sole

E' primavera, ma il sole ancora non lo sa. Timido si nasconde dietro un cielo velato da nuvole bianche e solo pallidi raggi riscaldano questo mio pomeriggio. Sotto a un tiglio, sdraiata scalza sull'erba umida, mi ritrovo di nuovo a pensarti.
Non dovrei ma le sinapsi della mia testa non mi danno ascolto, quella piccola parte di me che è tua prende il sopravvento e allora cedo e mi lascio trascinare.
Rivivo istanti, situazioni e come sempre mi accendo. Chiudo gli occhi e sei qui. Con me. Mi baci, mi tocchi. Mi sembra di sentire il tuo alito che mi sfiora, la tua lingua che mi cerca. Le tue parole mi invadono, la mia mano diventa la tua, si muove raggiungendo il centro del mio calore.
Entri e esci dalle pieghe del mio corpo e il desidero infiamma i miei che ora sono i tuoi movimenti. Mi mordo le labbra, mi penetro forte. Due, no tre dita sono dentro di me mentre tu, con gli occhi della mente, mi tiri i capelli, mi lecchi le tempie, mi sussurri quanto mi vuoi, quanto mi adori.
L'orgasmo arriva in fretta. Esplode nel mio corpo come nella mia testa e io godo di gemiti muti che sembrano non finire mai.
E' solo un attimo, ma è perfetto.
Poi lentamente mi placo, il mio battito decelera e il ventre si rilassa. Mi porto le dita alla bocca, le lecco, le succhio avida come farei con le tue.
Apro gli occhi e sorrido all'amico tiglio, testimone silenzioso del mio piacere.
Sospiro e ti ripongo svelta in un cassetto della mia mente, in quel cassetto che non rimane mai chiuso.
Mi guardo intorno. L'erba è ancora umida, il vento mi scompiglia i capelli e il sole è sempre li che mi accarezza le guance. Una solitaria lacrima scivola sul mio volto, la scaccio rabbiosa come vorrei scacciare te dai miei pensieri, dalla mio cervello, dalla mia vita.
Non posso, ti voglio ancora. Si voglio te.
Tu che sei riuscito a insinuarti nella mia quotidianità, che sei capace di emozionarmi, di eccitarmi... che mi conosci come nessuno mai... tu... si tu, tu che sarai il mio rimpianto più grande...